Le zone d'ombra: crisi e conflitti

Le zone d'ombra: crisi e conflitti

Zone d’ombra, crisi e conflitti sono realtà che viviamo costantemente attraverso i giornali, la radio o la televisione: il mondo di oggi, malgrado gli indubbi progressi registrati in numerosi ambiti, presenta ancora diversi lati oscuri.

1. Introduzione

L’obbiettivo di questa lezione è di evidenziare alcune caratteristiche di crisi e conflitti, mettendo anche in rilievo la loro variabilità e la loro differente visibilità nel panorama mediatico mondiale. Non si tratta di elencare unicamente i conflitti armati e la loro localizzazione: le crisi e i conflitti si manifestano anche in settori meno evidenti: in relazione all’utilizzo delle risorse naturali (acqua, aria, suolo, paesaggio), squilibri territoriali, disuguaglianze economiche e sociali, fenomeni di marginalizzazione e d’esclusione, conflitti etnici e religiosi, fenomeni migratori. Il tema è molto vasto e si manifesta a diverse scale geografiche, con diverse intensità, e in diversi settori.

Durante la lezione tenteremo di rispondere alle seguenti domande: La globalizzazione è un processo che inibisce o che acuisce le crisi e i conflitti? Quali sono le principali aree calde del pianeta? Che tipo di crisi e conflitti si manifestano a livello nazionale, regionale e locale? 

Prima di iniziare, proviamo a fare un piccolo sondaggio in classe: Quanti sono secondo voi i conflitti aperti oggi nel mondo: di più, di meno o un numero costante rispetto al passato? In quali continenti pensate si concentrino?

2. Il ruolo della globalizzazione

La scomparsa degli ostacoli politici tradizionali ha favorito lo svilupparsi di una mondializzazione in tutti gli ambiti, soprattutto nell’economia, favorita dall’introduzione d’accordi internazionali in seno alle grandi organizzazioni (Organizzazione mondiale del commercio, Banca mondiale, Fondo monetario internazionale). In questo contesto bisogna sottolineare la rivoluzione delle telecomunicazioni e dell’informazione, come pure la presenza costante dell’informatica nella vita quotidiana.

La diminuzione registrata negli ultimi decenni della frizione della distanza ha comportato una convergenza dei luoghi. In pratica le distanze in chilometri hanno perso molta della loro importanza originaria, rendendo i modelli classici della localizzazione spaziale (Christaller, Weber) superati. Una conseguenza che viene spesso alla ribalta è costituita dalla tendenza alla delocalizzazione delle unità produttive, fonte di problemi sociali, ambientali ed economici.

A livello ambientale, gli ultimi decenni hanno confermato l’esistenza di problemi seri che richiedono politiche concordate a livello internazionale. I temi più dibattuti riguardano i cambiamenti climatici, la mancanza di risorse idriche, il calo della bio-diversità, l’inquinamento d’oceani e coste, i rischi d’origine chimica, nucleare e bio-tecnologici.

Se da un lato questi macro-processi sono fonte di nuovi contrasti, dall'altro è vero che lo sviluppo di reti e flussi commerciali, culturali, informativi tra le varie aree del pianeta ha permesso di abbattere un numero considerevole di pregiudizi che in passato potevano essere strumentalizzati e portare a nuovi conflitti.

Le carte geografiche del futuro dovranno via via raffigurare sempre più connessioni e sempre meno divisioni. Ecco la risposta appropriata alle realtà del nostro tempo: in fondo da oltre due generazioni non assistiamo a un grande conflitto globale, e le possibili fonti di escalation sono tenute attentamente sotto controllo, attenuate dalla crescita dei volumi di commercio e investimenti a livello globale. Dedichiamo generalmente grandi sforzi a misurare il valore delle attività umane all'interno dei confini statali; è ora di mettere altrettanta energia nel conoscere i vantaggi della connettività tra un confine e l'altro (Khanna, Parag. Connectography: Mapping the Global Network Revolution. London: Weidenfeld & Nicolson, 2016).

We need Olympic Games, international trade, educational exchange programs, free internet—anything that lets us meet across ethnic groups and country borders. We must take care of and strengthen our safety nets for world peace. Without world peace, none of our sustainability goals will be achievable. It’s a huge diplomatic challenge to prevent the proud and nostalgic nations with a violent track record from attacking others now that they are losing their grip on the world market. We must help the old West to find a new way to integrate itself peacefully into the new world (Rosling, Hans. Factfulness: [dieci ragioni per cui non capiamo il mondo e perché le cose vanno meglio di come pensiamo]. Milano: Rizzoli, 2018).

3. Crisi e conflitti

3.1. Le crisi e i conflitti nel mondo: una panoramica

Il sito Warnews offre la possibilità di avere una panoramica dei conflitti, delle aree di crisi e di tensione che caratterizzano il modo attuale. Situazione di crisi:

  • Messico/Chiapas: I guerriglieri dell'EZNL combattono contro il governo centrale rivendicando i diritti delle comunità indigene
  • Guatemala: A 7 anni dalla fine della trentennale guerra civile, tarda ad arrivare un vero accordo di pace
  • Bolivia: Dopo la "guerra del gas", la situazione di estrema miseria di gran parte della popolazione non contribuisce a riportare pace e serenità ai piedi della Ande
  • Venezuela: Iil duro scontro istituzionale tra il presidente Chavez e l'opposizione, continua a far vivere il Paese in costante tensione
  • Perù: Dopo 20 anni di guerra civile, una pace duratura, tra corruzione, scontri occasionali e diritti negati, tarda ad arrivare
  • Regno Unito/Irlanda del Nord: Continua il contrasto tra i protestanti e la minoranza cattolica, che chiede l'annessione dell'Ulster alla repubblica d'Irlanda
  • Spagna/Paesi Baschi: Nonostante i ripetuti colpi subiti dai separatisti dell'ETA, continuano sporadici gli attentati dinamitardi
  • Francia/Corsica: Decisamente in calo le attività armate dei separatisti corsi, ma scontri si verificano ancora di quando in quando
  • Bosnia: 12mila uomini della Nato mantengono l'ordine in questa terra che tutto appare fuorchè pacificata
  • Serbia-Montenegro/Kosovo: Tarda ad arrivare una soluzione definitiva per questa provincia autonoma della Serbia, dal 1999 protettorato ONU
  • Macedonia: La difficile convivenza tra macedoni ed albanesi resta il problema centrale di questa repubblica
  • Moldova/Transdnistria: La Transdnistria, la repubblica non riconosciuta della minoranza russa, rimane un problema per tutta la comunità internazionale
  • Georgia: Iil Paese rimane dilaniato sia al proprio interno che nelle sue repubbliche autonome, Abkhazia e Adjaristan, di fatto indipendenti
  • Armenia-Azerbaijan: Rrimane irrisolta la questione del Nagorno-Karabakh, enclave armena in territorio azero e controllata dall'Armenia
  • Turchia/Kurdistan: La minoranza curda in Turchia, dopo decenni di persecuzioni e guerre, chiede diritti troppo a lungo negati
  • Iran: I contrasti tra riformisti e conservatori al potere appaiono sempre più insanabili
  • Pakistan: Il governo sempre più in difficoltà, mentre monta la protesta dell'opposizione islamica
  • Myanmar: I contrasti tra governo centrale e minoranze etniche sfociano periodicamente in scontri, nonostante ripetuti accordi di pace
  • Indonesia/Molucche: Prosegue il faticoso processo di pacificazione tra le comunità cristiana e quella islamica nell'isola
  • Indonesia/Sulawesi: Continuano gli attacchi alle popolazioni cristiane dell'isola
  • Indonesia/Papua: Le popolazioni locali continuano a chiedere l'indipendenza dall'Indonesia, spesso in manifestazioni che terminano con morti e feriti
  • Cina/Sinkiang-Uygur: Attentati e strani legami in questo lembo dimenticato dell'Asia Centrale che difende la propria identità
  • Cina/Tibet: Dal 1949, anno dell'invasione cinese, si consuma il dramma di un popolo che non vuole scomparire
  • Laos: I ribelli/fuorilegge Hmong schiacciati dalla spietata repressione del governo laotiano
  • Thailandia: Sconfinamenti di ribelli birmani ad ovest e tumulti della minoranza malay al Sud, creano preoccupazioni nell'antico regno del Siam
  • Marocco/Saharawi: Dal 1975 il popolo saharawi si oppone all'occupazione marocchina, il conflitto è irrisolto ma mantiene una bassa intensità
  • Senegal/Casamance: Ancora si segnalano scontri e attentati nell'area del Casamance, abitata in prevalenza da cristiani che vogliono l'autonomia da Dakar
  • Guinea Bissau: Colpi di stato a ripetizione non facilitano lo sviluppo di questo poverissimo Paese
  • Sierra Leone: Dopo la fine della devastante guerra civile, la Sierra Leone deve ora affrontare i problemi della ricostruzione e della rivalità tribali
  • Ciad: Continua instabilità ed estrema rimangono un seria ipoteca sulla via dello sviluppo del Ciad
  • Congo Brazzaville: L'accordo di pace con i ribelli ninja non ha ancora permesso di riportare il Paese alla normalità
  • Angola: La trentennale guerra civile, pur terminata, ha lasciato il Paese in ginocchio, inoltre, rimane irrisolto il problema Cabinda
  • Zimbabwe: La repressione del presidente/dittatore Mugabe sta conducendo lo Zimbabwe al collasso
  • Comore: Frequenti colpi di stato e forti tensioni sociali provocano grave instabilità politica in tutto il piccolo arcipelago
  • Ruanda: Dopo l'apocalisse di 10 anni fa, il ritorno alla normalità è un lungo ed irto cammino
  • Repubblica Centrafricana: Colpi di stato e rivolte militari sullo sfondo di un Paese tra i più poveri del Mondo.

Nei seguenti paesi si registrano inoltre dei conflitti in corso:

Aceh, Afghanistan, Algeria, Burundi, Cecenia, Colombia, Congo R.D., Costa d'Avorio, Eritrea-Etiopia, Filippine, Haiti, Iraq, Israele-Palestina, Kashmir, Kurdistan, Liberia, Nepal, Nigeria, Rep. Centrafricana, Somalia, Sri Lanka, Sudan, Uganda.

3.2. Le crisi e i conflitti a livello nazionale

In Svizzera non si registrano crisi o conflitti d’ordine militare. Possiamo comunque evidenziare la presenza sempre più importante di crisi e conflitti che si manifestano in altri ambiti, in particolare in quello sociale e nella gestione delle risorse naturali. I media ci forniscono quotidianamente i resoconti di crisi e conflitti che avvengono in paesi, città e regioni: si tratta spesso di conflitti “aperti”, ad esempio tra i sostenitori di una certa infrastruttura e i suoi detrattori.

Quali conflitti vi vengono in mente? Proviamo a segnarli in una tabella.

L’evoluzione futura presenta diverse situazioni potenzialmente a rischio, ecco altri esempi (Direction PP Environnement, Häberli, 2002):

  • La confederazione stima ad esempio che entro il 2020 la percentuale di pensionati aumenterà del 70%, implicando un’enorme difficoltà per garantire i servizi sociali offerti oggi.
  • La confederazione stima a 700 000 i poveri in Svizzera. Si tratta principalmente di disoccupati da lungo tempo, persone con salari bassi (working poor) e famiglie mono-parentali.
  • Urbanizzazione del territorio.
  • La riduzione di regimi idrici naturali e la riduzione della qualità delle risorse idriche.
  • Traffico: Il traffico di merci è aumentato del 42% tra il 1980 ed il 1990, raggiungendo i 42 miliardi di T/k. Solo una parte di questa massa viene indirizzata su ferrovia.

3.3. Le crisi e i conflitti regionali e locali

Le crisi e i conflitti possono manifestarsi anche a livello regionale e locale. In Svizzera, questo tipo di conflitto riguarda principalmente l’utilizzo delle risorse (aria, acqua, suolo). In particolare, negli spazi urbani e suburbani confrontati con una topografia limitante, i pochi spazi disponibili sono molto ambiti da diverse attività, come l’agricoltura, il commercio o il divertimento. Queste funzioni diverse implicano un modo d’utilizzo spesso concorrenti, fonti di tensioni e conflitti tra i diversi attori.

Nel nostro contesto territoriale possiamo definire tre tipi di conflitti principali:

  • Tra centri e periferie urbane: crisi e conflitti legati al traffico dei pendolari, ai comuni-dormitori o all’urbanizzazione diluita.
  • Tra agglomerazioni e montagna: tensioni legate al diffondersi nelle zone montane di modelli urbani poco adatti al contesto (habitat individuali banali, impatto nel paesaggio).
  • Tra settori economici: agricoltura, turismo, industria, trasporto necessitano grandi superfici per sviluppare le proprie attività.

Esempi:

  • Aeroporto Lugano-Agno e di Locarno.
  • Pianificazione e revisione del Piano Direttore cantonale.
  • Centro per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (RSU) di Giubiasco.

4. Una strategia di prevenzione e risoluzione dei conflitti: lo sviluppo sostenibile

Lo sviluppo sostenibile è spesso sintetizzato con un triangolo equilatero che presenta ai tre vertici le tre dimensioni del modello di sviluppo: economico, sociale e ambientale. Esiste una ricchissima letteratura in materia, che fornisce una molteplicità d’interpretazioni e definizioni del concetto di sviluppo sostenibile. Di seguito sono riportati alcuni esempi di definizione:

  • Lo sviluppo sostenibile ”soddisfa i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”. (Commissione Brundtland, 1987)
  • Lo sviluppo sostenibile consiste nel "migliorare la qualità della vita mantenendosi nei limiti della capacità di carico degli ecosistemi interessati". (Caring for the Earth. A Strategy for Sustainable Living, UNEP, IUCN, WWF, 1991)
  • Un modello di sviluppo è sostenibile quando i prelevamenti sullo stock di risorse naturali non eccedono la crescita naturale della risorsa. (D. Pierce)
  • Lo sviluppo sostenibile del sistema Società, Economia, Ecologia significa "lasciare alle future generazioni almeno tante opportunità quante ne abbiamo avute noi" (World Bank, 1996)
  • Lo sviluppo sostenibile permette di offrire "servizi ambientali, sociali ed economici di base per tutti i membri di una comunità senza danneggiare i sistemi naturali, culturali e sociali su cui si basa tale soddisfazione e senza ridurre le potenzialità di sviluppo sostenibile delle comunità locali in altre parti del mondo" (International council for Local Environmental Iniziatives, 1997)

In che misura secondo voi questo modello può prevenire i conflitti alle varie scale geografiche considerate?

5. Conclusioni

Come abbiamo visto crisi e conflitti riguardano tutti i settori e non riguardano unicamente i conflitti armati. Le nuove tendenze della nostra società, quali la globalizzazione e la presenza, almeno a livello d’intenzioni, dello sviluppo sostenibile, apportano nuove sfide e nuove opportunità alla risoluzione della conflittualità.

6. Letture

6.1. Nuovo ordine mondiale

L'attacco dell'11 settembre agli Stati Uniti ha rivoluzionato la carta geopolitica mondiale. Nella guerra al terrorismo internazionale si è creata una convergenza di interessi tra Stati Uniti, Russia e Cina. Per la Russia la guerra al terrorismo internazionale è utile per combattere la minaccia islamica nel Caucaso russo, e i riflessi che può avere sulle tendenze separatiste interne. Anche la Cina, pur rimanendo potenzialmente antagonista degli Usa, è coinvolta nella guerra al terrorismo perché si sente minacciata nel Xinjiang, la regione occidentale abitata da musulmani. Pechino conta poi di assicurarsi l'appoggio americano - ora che Washington è impegnata su altri fronti - sul ritorno alla madrepatria di Taiwan, che considera una provincia ribelle e la cui sicurezza è garantita dagli Stati Uniti.

Di particolare importanza è l'asse creato da Russia e Stati Uniti. Il presidente russo Putin ha deciso di puntare molto sull'alleanza con gli Stati Uniti, malgrado le opposizioni interne anche nella schiera dei consiglieri più stretti. Così il presidente russo non ha solo collaborato alla guerra in Afghanistan, ma ha consentito anche l'installazione di due basi americane nell'Asia centrale ex sovietica, in Uzbekistan e Kirghizistan. La collaborazione tra Mosca e Washington ha riguardato anche altri ambiti. In primo luogo la firma di un nuovo trattato sul disarmo nucleare, in base al quale gli arsenali nucleari negli Stati Uniti e in Russia saranno ridotti di due terzi. Le testate nucleari operative saranno ridotte dalle attuali 6.000-7.000 a 1.700-2.200 entro dieci anni.

Con la nuova fase del disarmo nucleare Washington ottiene di fatto il via libero russo alla realizzazione del cosiddetto scudo spaziale, il sistema americano antimissili balistici, che Washington vuole sviluppare per neutralizzare l'eventuale lancio di un limitato numero di missili contro gli Stati Uniti.

Un altro elemento della nuova alleanza è l'accordo di cooperazione tra la Nato e la Russia, firmato in Italia nel maggio 2002. Mosca ha ottenuto di partecipare a una parte delle decisioni dell'Alleanza atlantica, ma non il diritto di veto. L'accordo apre la strada all'ulteriore espansione della Nato a est: dopo l'ingresso nel 1999 di Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria, tocca ad altri sette paesi: Slovenia, Slovacchia, Romania, Bulgaria e alle tre repubbliche baltiche ex sovietiche.

La svolta pro occidentale di Putin dopo l'11 settembre ha suscitato diverse critiche in Russia. In particolare i termini degli accordi con gli Usa e la Nato hanno fatto sorgere voci critiche in ambienti militari, che ritengono Mosca abbia ceduto alle richieste americane senza sufficienti contropartite. Ma il progetto di Putin sembra essere a più lungo raggio. L'ex agente segreto russo ha consapevolezza dei grandi problemi economici del paese. L'alleanza con gli Stati Uniti e, più in generale, con l'occidente consente a Putin di sperare in un rilancio dell'economia. Per questo punta a inserire stabilmente la Russia nei consessi internazionali: dopo l'ingresso nel G8 sancito nel 2001 a Genova e completato l'anno successivo in Canada e l'accordo con la Nato, il presidente russo pensa all'ingresso nell'Organizzazione mondiale del commercio.

Un'ipotesi assolutamente impensabile solo qualche anno fa, in considerazione della grave crisi economica russa. Sul piano internazionale Putin ha da offrire le risorse energetiche, sulle quali si fonda attualmente l'economia del paese. Con la produzione russa e quella del Mar Caspio che arriverà in Europa perlopiù tramite gli oleodotti russi Mosca si appresta a diventare uno dei maggiori fornitori europei di greggio, e già lo è per il gas. Per questa ragione per Putin è molto importante il riavvicinamento con gli europei, oltre che con gli Usa. La produzione di greggio russo avvantaggia poi sul piano generale anche Washington, perché consente di limitare il potere strategico dell'Arabia Saudita e dell'Opec di condizionare il prezzo del petrolio mondiale. Dopo l’11 settembre gli Stati Uniti hanno capito che l'Arabia Saudita non è più l'alleato affidabile di un tempo. La monarchia saudita è infatti minata all'interno da gruppi di potere antiamericani e vicini politicamente a bin Laden, che ha origini saudite.

Non mancano comunque motivi di contrasto tra Mosca e Washington su molte questioni, a cominciare dai rapporti con Iraq, Iran e Corea del Nord, che il presidente Bush ha definito l'asse del male - e quindi principali avversari degli Stati Uniti - e con cui invece Mosca intrattiene rapporti di collaborazione. Si pensi solo alle relazioni in campo commerciale e nucleare tra Russia e Iran.

Motivi ancora maggiori di contrasto ci sono poi tra Cina e Stati Uniti, come hanno dimostrato le crisi tra Washington e Pechino durante la guerra del Kosovo con il bombardamento dell'ambasciata cinese a Belgrado, o il caso dell'aereo spia americano atterrato nella Cina meridionale, in una regione dove l'espansione cinese verso sud (ad esempio il contenzioso sulle isole Spratly) frenata dagli Usa, che hanno anche garantito- finora- la sicurezza di Taiwan. Anche nelle relazioni tra la Cina e la Russia sono molte le questioni irrisolte. Basti pensare all'estremo oriente russo, che i cinesi stanno invadendo con un forte flusso migratorio. Gli ingressi illegali di cinesi sono nell'ordine di milioni di individui.

Lo squilibrio demografico nell'area è imponente: solo sette milioni di russi abitano l'intera Russia orientale, contro i circa 70 milioni di cinesi che vivono dall'altra parte del confine, nella Cina nordorientale. Per i cinesi si tratta di un ritorno; infatti i territori al confine con la Cina furono ceduti alla Russia con i trattati del 1858-1860, gli unici due «trattati diseguali»- con cui la Cina fu smembrata dalle grandi potenze dell'epoca- che Pechino non ha rinegoziato. La lontananza da Mosca dell'estremo oriente russo e la pressione demografica ed economica cinese potrebbero rimettere in discussione un'area periferica ma fondamentale per l'unità della Russia.

D'altro canto Stati Uniti, Russia e Cina - ma più in generale le cancellerie internazionali - sono alla disperata ricerca di un ordine internazionale che serva a stabilizzare le varie crisi. Durante la guerra fredda, il bipolarismo svolgeva indirettamente una funzione stabilizzatrice. Le due superpotenze, ciascuna nella propria parte del mondo, frenavano le crisi nei propri settori, e anche i conflitti che scoppiavano a cavallo tra i due mondi dovevano rientrare nella logica della guerra fredda e quindi sottostare agli interessi prevalenti della superpotenza di riferimento.

Con la fine della guerra fredda questo ordine è venuto a mancare e ogni tentativo di stabilirne di nuovi - vedi Bush padre ai tempi della guerra del Golfo del 1991- è fallito. Le grandi potenze si sono illuse di potersi disinteressare di intere parti del pianeta.

Cosi una serie di conflitti scoppiati negli anni Novanta non hanno avuto freni a differenza del periodo del bipolarismo e molti paesi sono stati di fatto lasciati a se stessi, considerati non più una minaccia. Ma anche in politica internazionale il vuoto non esiste, e viene sempre colmato. L'Afghanistan, paese povero e lacerato, attraverso il traffico di droga e l'ospitalità data a un'efficiente organizzazione terroristica, è stato in grado di destabilizzare l'intero ordine internazionale. La guerra moderna consente anche a strutture leggere di portare attacchi terribili. L'11 settembre e la guerra al terrorismo hanno quindi completato la rivoluzione della carta mondiale cominciata con il crollo del muro di Berlino e la dissoluzione dell'Unione Sovietica. Ormai categorie utilizzate in passato come terzo e quarto mondo o divisione tra Nord e Sud del pianeta non servono più a spiegare nulla.

Usando quelle categorie dove si colloca la Cina, regime comunista a partito unico, dove anche un presunto concetto universale come i diritti umani è difficile da tradurre nella lingua locale, ma che nello stesso tempo è aperto all'economia di mercato e conta di migliorare il livello di vita di ben 1,3 miliardi di abitanti? Oppure dove collocare l'Arabia Saudita, governata dai suoi circa seimila principi, che da un lato gestiscono le più ampie riserve mondiali di petrolio tenendo conto degli interessi americani e hanno uno stile di vita occidentale e molto agiato, mentre dall'altro propugnano e diffondono una dottrina islamica integralista che sta destabilizzando Medio Oriente e Asia centrale e si confrontano con regioni interne conservatrici e con una popolazione che non gode i benefici di un mancato sviluppo economico? Anche un termine di grande successo - e ormai categoria tanto affascinante quanto vaga – come globalizzazione mostra segni di logoramento nel dopo 11 settembre. Spesso non è possibile spiegare molti dei conflitti in corso sul pianeta con categorie troppo generali.

Per queste ragioni dopo la fine della guerra fredda è ritornata in auge la geopolitica, in una versione moderna molto diversa da quella classica, e che è possibile essenzialmente ricondurre alla definizione del francese Lacoste, secondo cui la geopolitica è lo studio dei conflitti di potere in un determinato spazio, condotto sulla base dell'analisi delle rappresentazioni e dei progetti spaziali delle parti in causa. Più banalmente l'analisi geopolitica costringe a collocare ogni crisi, con i rispettivi attori, rapporti di forza, interessi e percezioni, nel loro contesto temporale e spaziale.

Quindi la geopolitica (che non è una scienza ma un modo di osservare la realtà internazionale) è in grado di aiutare a capire le ragioni e le dinamiche dei tanti conflitti nel mondo.

Fonte: Desiderio, 2003

6.2. Il ruolo della percezione

Viviamo in tempi turbolenti. Ci è sufficiente dare una rapida scorsa ai titoli dei giornali per entrare in tensione e – considerando come negli ultimi tempi le nostre vite siano caratterizzate da un inarrestabile flusso mediatico – è difficile tenersi alla larga da simili notizie. La cosa peggiore è che l’evoluzione ha plasmato il cervello umano in modo da renderlo estremamente recettivo verso tutti i potenziali pericoli. Come approfondiremo negli ultimi capitoli, questa sciagurata combinazione ha un forte impatto sulla percezione umana, in quanto ci induce a spegnere, letteralmente, la nostra capacità di accogliere le buone notizie. Questo ci pone di fronte a una sorta di sfida, dal momento che Abbondanza è sostanzialmente una storia fatta di buone notizie. Questo libro si occuperà di esaminare i fatti nudi e crudi, la scienza e l’ingegneria, le tendenze sociali e le forze economiche che stanno rapidamente trasformando il nostro mondo. Non siamo certo così ingenui da pensare che sarà una strada priva di ostacoli. Ce ne saranno, e alcuni saranno pure molto grandi: disastri economici, catastrofi naturali, attacchi terroristici. In questi frangenti, il concetto di abbondanza apparirà distante, alieno, persino privo di senso, ma basta un’occhiata veloce alla storia per capire che il progresso non si interrompe, continua nei periodi di felicità come in quelli di disperazione. Il ventesimo secolo, per esempio, è stato testimone di un incredibile avanzamento ma anche di indescrivibili tragedie. L’epidemia di influenza del 1918 causò la morte di cinquanta milioni di persone, la seconda guerra mondiale ne uccise altri sei milioni. Ci furono tsunami, uragani, terremoti, incendi, inondazioni, e addirittura invasioni di locuste. Nonostante questa scoraggiante serie di disgrazie, in questo periodo la mortalità infantile è diminuita del 90 per cento, quella materna è calata del 99 per cento e l’aspettativa di vita è aumentata complessivamente di oltre il 100 per cento. Negli ultimi due decenni, gli Stati Uniti hanno subito un terribile sconvolgimento economico. Eppure oggi anche gli americani più poveri hanno accesso a telefono, televisione e a un bagno con sciacquone – tre tipologie di lusso che all’inizio del secolo scorso nemmeno le persone più ricche avrebbero potuto immaginare. Di fatto, come spiegheremo fra poco, utilizzando ogni strumento di misurazione al momento disponibile, la qualità della vita è aumentata di più nello scorso secolo che in tutta la storia dell’uomo. Perciò questo libro vi dimostrerà che, anche se lungo la strada troveremo probabilmente una quantità di brusche, strazianti interruzioni, gli standard di vita globali continueranno a migliorare, a prescindere dagli orrori che dominano le pagine dei giornali.

Fonte: Diamandis, Peter H. Abbondanza: il futuro è migliore di quanto pensiate. Torino: Codice, 2014.

6.3. Difficoltà inattese e nuove forme di conflitto mediatico

La storia si diffuse nell'autunno del 2001: Dino Ignacio, uno studente liceale filippino-americano, creò un collage con Photoshop in cui Bert di Sesame Street (1970) interagiva con il leader terrorista Osama Bin Laden. Era solo un'immagine della serie intitolata "Bert is Evil" ("Bert è il male") che il ragazzo aveva pubblicato nel suo sito. Altre raffiguravano il pupazzo animato nei panni di un membro del Ku Klux Klan, oppure saltellante al fianco di Adolf Hitler, o vestito da Unabomber, o nell'atto di fare sesso con Pamela Anderson. Erano state tutte create per divertimento.

Sulla scia dell'11 settembre, un editore del Bangladesh passò in rassegna il Web alla ricerca di raffigurazioni di Bin Laden da stampare sopra magliette, poster e cartelli anti-americani. Sesame Street è reperibile in Pakistan solo in un formato localizzato; perciò il mondo arabo non conosce personaggi come Bert ed Ernie. Può essere che l'editore non abbia riconosciuto Bert, ma, semplicemente, abbia pensato che avesse una buona rassomiglianza con il leader di Al-Quaeda. La foto finì su un collage di immagini simili che venne stampato su migliaia di poster e diffuso in tutto il Medio Oriente.

La CNN riprese la scena incredibile di una folla di contestatori arrabbiati che marciavano per le strade gridando slogan anti-americani mentre sventolavano striscioni raffiguranti Bert e Bin Laden. Alcuni rappresentanti del Children's Television Workshop, creatori della serie Sesame Street, videro il servizio alla tv e minacciarono di intraprendere un'azione legale: "Siamo indignati che i nostri personaggi vengano usati in modo così spiacevole e disgustoso. I responsabili dovrebbero vergognarsi. Stiamo esplorando tutte le vie legali per frenare quest'abuso ed eventuali altri a venire". Non era del tutto chiaro contro chi volessero sguinzagliare i loro avvocati specializzati in proprietà intellettuale: il ragazzino che all'origine si era appropriato delle loro immagini o piuttosto i manifestanti estremisti che le avevano sbandierate. Ritornando al punto di partenza, alcuni fan si divertirono a creare nuovi siti in cui associavano i vari personaggi di Sesame Street ai terroristi. Dalla sua cameretta, Ignacio accese una controversia internazionale. I suoi fotoritocchi fecero il giro del mondo, a volte passando per i media commerciali, altre per quelli grassroots, finché non divennero oggetto di culto.

Fonte: Jenkins, 2007

7. Fonti

Bibliografia

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