Sviluppo sostenibile: Origine e diffusione del concetto

Sviluppo sostenibile: Origine e diffusione del concetto

La protezione dell'ambiente è oggi una delle questioni più trattate a livello di politica internazionale. Fino agli anni '70, la stessa questione era solo marginale e poco considerata nelle riunioni dei rappresentanti dei differenti stati. Il primo impulso viene dato dalla pubblicazione del primo rapporto del Club di Roma "I Limiti dello Sviluppo", enfatizzato da una serie concomitante di catastrofi ecologiche.

La comunità internazionale inizia a prendere coscienza del problema, fatto che pone le basi della prima conferenza mondiale delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo nel 1972. In tale occasione, viene adottata la Dichiarazione di Stoccolma che stipula "L'uomo ha un diritto fondamentale alla libertà, all'eguaglianza e a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere, ed è altamente responsabile della protezione e del miglioramento dell'ambiente davanti alle generazioni future."

La dichiarazione introduce per la prima volta in modo ufficiale la correlazione tra ambiente e sviluppo. A Stoccolma si definisce pure la creazione dell'UNEP (United Nations Environment Programme), l’organizzazione delle Nazioni Unite dedicata allo sviluppo.

Nel 1983 le Nazioni Unite creano la Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo. Posta sotto la presidenza del Primo ministro norvegese Gro Harlem Brundtland, la commissione aveva il mandato di definire un programma mondiale per incitare i governi ad intraprendere misure più incisive nella difesa dell’ambiente. Nel 1987 il rapporto finale della commissione viene pubblicato con il titolo “Our Common Future”. Tradotto in italiano con il titolo " Il futuro di tutti noi ", il rapporto si concentra sulla sfida globale a cui è confrontata la comunità internazionale: la sopravvivenza dell’ambiente.

Questa sfida implica l’adozione di un nuovo modello di sviluppo definito col termine Sustainable Development. Questo concetto, tradotto nell’edizione italiana con i termini Sviluppo sostenibile, riprende un modello di gestione utilizzato nell’ingegneria forestale. In effetti, nel 1818 Karl Albrecht Kasthofer sosteneva che lo sfruttamento delle foreste era sostenibile quando la quantità annuale di legno abbattuto non era inferiore o superiore alla quantità di legno generata dalla ricrescita naturale sull’arco dell’anno.

La commissione ripropone questo modello in un ottica più globale: "Lo sviluppo sostenibile, lungi dall'essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l'orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali".

Le raccomandazioni del rapporto Brundtland si concentrano sulla necessità di risolvere in comune i problemi dell’ambiente e dello sviluppo. Questo nuovo approccio richiede ai governi di considerare gli aspetti ecologici, economici e sociali in modo integrato, evitando pertanto l’eccessiva specializzazione dei propri servizi.

Nel 1992 la seconda conferenza dell’ONU sull’ambiente e lo sviluppo (CNUED) viene organizzata a Rio de Janeiro. I rappresentanti di 179 paesi adottano in tale occasione cinque documenti che costituiscono le basi dello sviluppo sostenibile a livello planetario:

  • La Convenzione sui cambiamenti climatici, che fissa l’obbiettivo di proteggere il sistema climatico mondiale.
  • La Convenzione sulla biodiversità che tende a salvaguardare la diversità biologica del pianeta.
  • La Dichiarazione dei principi relativi alle foreste, che contiene i principi per la gestione sostenibile delle risorse forestali.
  • La Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo, che riporta 27 principi che si integrano con quanto fissato nella dichiarazione di Stoccolma.
  • Il Piano d’azione 21 presenta un programma per il XXI. secolo indirizzato in particolare all’attenzione delle collettività locali.

Il Piano d’azione 21 si concentra sulla concretizzazione locale del progetto globale di sviluppo mondiale. La realizzazione di un’Agenda 21 locale permette infatti di definire attraverso una larga concertazione gli obbiettivi economici, sociali ed ambientali della collettività.

Il capitolo 28 del Piano d’azione richiede in modo esplicito alle autorità di intraprendere un processo Agenda 21 su scala locale, permettendo così di rispondere alle sfide globali dello sviluppo sostenibile: “Entro il 1996, la maggior parte delle amministrazioni locali di ciascun paese dovrebbe aver intrapreso un processo di consultazione della popolazione e raggiunto un consenso su una propria Agenda 21 locale”.(capitolo 28.2a)

Negli anni Novanta si organizzano incontri che trattano singole tematiche appartenenti al problema dello sviluppo sostenibile: sulla popolazione (Cairo, 1994), sul ruolo della donna (Pechino, 1995), sulla pianificazione del territorio (Istambul, 1996) e sul clima (Kyoto, 1997).

La Conferenza di Kyoto è stata probabilmente la riunione che ha suscitato più dibattiti e che è stata seguita con attenzione dai media mondiali. I problemi legati ai cambiamenti climatici e all’effetto serra hanno diviso la comunità internazionale. Su un fronte troviamo i paesi che promuovono una politica “passiva” e subordinata agli interessi economici nazionali come Stati Uniti, Russia e Cina. Sull’altro fronte troviamo i paesi che sono disposti ad intraprendere misure concrete e che a Kyoto hanno sottoscritto il relativo Protocollo, impegnandosi a ridurre del 5,2% le emissioni di anidride carbonica e degli altri gas tra il 2008 e il 2012.

Nel 2002 le Nazioni Unite organizzano il Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile, tenutosi a Johannesburg (Sud Africa). Il documento finale del vertice pone nuovamente la separazione tra i paesi che promuovono una politica concreta nell’attuazzione dello sviluppo sostenibile, principalmente l’Europa, e i paesi che sostengono unicamente delle dichiarazioni di intento. Il contenuto di questo documento comprende due testi:

  • La Dichiarazione politica sullo sviluppo sostenibile, che rappresenta l’impegno formale degli stati partecipanti a realizzare l’obiettivo dello "sviluppo sostenibile".
  • Il Piano di azione sullo sviluppo sostenibile, che contiene gli obiettivi concordati (in 152 punti) sui diversi argomenti in discussione, come la cooperazione allo sviluppo, la gestione delle risorse idriche, la salute, l’energia, la biodiversità, le sostanze chimiche, il mare e la pesca.

I numerosi incontri che si sono tenuti nell’arco di trent’anni si sono conclusi sistematicamente con solenni assunzioni di impegni. Per alcuni governi l’impegno rimane puramente formale e di principio, per altri rappresenta l’occasione di riformare le proprie politiche pubbliche e di promuovere soluzioni locali ai problemi globali. Attualmente in Svizzera si contano 80 iniziative locali che vanno in questa direzione, mentre a livello europeo sono circa 1'500.

Roland Hochstrasser