Ricerca scientifica e documenti fotografici

Ricerca scientifica e documenti fotografici

Non ho mai dato grande importanza alla fotografia. Fotografavo perché era necessario, ma sempre con la sensazione che fosse una perdita di tempo, una perdita d’attenzione”[1]. Claude Lévi-Strauss si esprime in termini forti al riguardo della fotografia. Una tesi in netto contrasto con la visione contemporanea di una società che vive costantemente sotto la pressione delle immagini. Il ricercatore, nel seguito dell’intervista condotta da Véronique Mortaigne chiarisce la sua posizione: “Mi è capitato ogni tanto di premere il bottone e di riprendere qualche immagine, ma ben presto ne sono rimasto disgustato perché, con l’occhio dietro all’obbiettivo, non si vede cosa accade e ancor meno si capisce”.

È una provocazione rilanciata anche in anni più recenti da altri ricercatori del settore. Nel 1988, in occasione del Congresso della International Union of Anthropological and Ethnological Sciences di Zagabria Joanna Scherer segnalò l'inutilità di continuare ad ammassare materiale audio-visivo senza aver prima studiato quello, abbondante, già a disposizione. Una provocazione che voleva “richiamare l'attenzione degli antropologi sul lavoro compiuto dai loro predecessori, ricordando loro l'esistenza di un patrimonio etno-antropologico inestimabile”[2].

In linea generale, a parte le proposte giustamente provocatorie, diventa sempre più raro trovare un ricercatore disposto a negare il valore documentario dell’immagine, soprattutto se si considera l’evoluzione vissuta in questi ultimi anni nell’elaborazione e nella fruizione dei materiali. Dalla nascita della fotografia moderna sono state scattate una moltitudine di fotografie. Gli autori sono eterogenei, come eterogenei sono i soggetti ritratti e gli scopi degli scatti: turisti, indigeni, storici, geografi, antropologi, fotografi professionisti e dilettanti hanno prodotto nel loro insieme una memoria fotografica che ad oggi ha trovato solo una parziale valorizzazione.

Il ricercatore è fortemente condizionato dallo stato di conservazione, l’organizzazione e la catalogazione degli archivi. I problemi tecnici, organici, catalografici che caratterizzano questo supporto documentario pregiudicano fortemente l’apporto scientifico e l’utilizzazione critica di questi materiali. Come segnala Tomassini, “La parcellizzazione e le difficoltà di accesso alla documentazione di base rendono difficili proprio quei tagli trasversali, comparativi, che sono uno dei prerequisiti essenziali di una ricerca seria sul piano storiografico.” (Tomassini, 1996). In questo senso possiamo evidenziare un cambio di sensibilità avvenuto negli ultimi decenni che permette di valorizzare il patrimonio fotografico nel suo complesso, non più concentrando la propria azione su fondi professionali. La ricerca tende in sintesi a utilizzare e valorizzare anche i documenti iconografici che non hanno una valenza estetica-evocativa, materiali minori, un patrimonio che permette di unire una documentazione spesso dispersa e marginale. Per un ricercatore “anche le fotografie industriali o le anonime fotografie di famiglia possono diventare fonte inesauribile di informazioni oltre che strumenti per indagare il ruolo della fotografia nella rappresentazione e nella determinazione dei processi storici“ [3].

L’utilizzo del documento fotografico deve comunque far capo ad una certa sensibilità. Il valore documentario va infatti contestualizzato ed analizzato tenendo conto dei vari fattori che ne determinano la produzione, la fruizione e la percezione. Una cautela metodologica ben evidenziata dallo storico Michele Giordano, che segnala come il problema “riguarda la più o meno difettosa efficacia documentaria della fotografia”[4].

Il fotografo e l’etnografo non ci restituiscono unicamente dei frammenti di vita della civiltà contadina, ma rivelano anche l’atteggiamento che egli ha nei confronti del soggetto ritratto. In altre parole, “ogni fotografia è, prima che ritratto di un soggetto o testimonianza di un evento, un constructed pictorial statement per usare l'espressione di Ruby, cioè una asserzione iconica costruita circa quel soggetto o quell'evento”[5].

Roland Hochstrasser

[1] Lévi-Strauss Claude et Mortaigne Véronique, Loin du Brésil: entretien avec Véronique Mortaigne, [Paris], Chandeigne, 2005. [2] Chiozzi Paolo, La fotografia, gli archivi fotografici e la ricerca etno-antropologica, in Lusini 1996. [3] Zannier Italo, La fotografia in archivio, Milano, Sansoni, 2000. [4] Giordano Michele (1981). Fotografia e storia. Studi Storici, Anno 22, No. 4. [5] Chiozzi Paolo, La fotografia, gli archivi fotografici e la ricerca etno-antropologica, in Lusini, 1996, p. 128.