Covid19: Virus biologico e Virus mediatico tra isteria e negazionismo

Covid19: Virus biologico e Virus mediatico tra isteria e negazionismo

Sembra impossibile, ma sono passati solo due anni da quando un piccolo parassita ha bloccato gran parte dei flussi di persone da una parte all'altra del globo. In questi mesi i media hanno avuto modo di descrivere nel dettaglio le situazioni più tragiche e strazianti, dando spazio a un numero elevato di opinionisti, specialisti, analisti che si sono espressi con più o meno prudenza rispetto a dei dati scientifici che -evidentemente, considerata l'evoluzione rapida del fenomeno- non sono sempre solidi o raccolti con metodi uniformi.

Il coronavirus rappresenta un evento mai visto prima? Il mondo è sull'orlo del baratro? L'ultimo virus segnerà la fine delle relazioni sociali? Ci sarà una "nuova normalità"?Oppure è tutto un complotto degli alieni o di laboratori segreti dei terrapiattisti?

Sui quotidiani o nei social media si sono lette perifrasi tra le più elaborate legate alla funzione educativa del virus: ce la siamo cercata, una vendetta del Pianeta, un segno del Cielo, un castigo divino. In questa escatologia un po' improvvisata e pacchiana si tralascia un semplice ed inevitabile fatto: le pandemie c’hanno accompagnato da sempre, esistono e continueranno anche in futuro a perturbare le attività umane. Lo faranno probabilmente con maggiore frequenza e fastidio, da un lato perché i flussi della nuova geografia funzionale sono estremi, dall’altro perché siamo ormai lanciatissimi verso un nuovo equilibrio demografico che comporterà una popolazione di 11 miliardi di persone (fonte ONU e Rosling 2018). Un contesto ideale per la nascita e la diffusione di virus o altri agenti patogeni che potrebbero essere meno aggressivi, ma anche più pericolosi dell’attuale Superstar virale.

Esempi di nuovi agenti patogeni e di nuove malattie dal 1973

Anno

Agente patogeno

Tipo

Malattia

1973

Rotavirus

Virus

Diarrea

1977

Ebola

Virus

Febbre emorragica

1977

Legionella pneumophila

Battere

Legionellosi (malattia dei  legionari)

1980

Virus T-linfotropo umano di tipo I

Virus

Linfoma a cellule T/leucemia

1981

Stafilococco aureo produttore di tossine

Battere

Sindrome da shock tossico

1982

Escherichia coli

Battere

Colite emorragica, Sindrome emolitico-uremica

1982

Borrelia burgdorferi

Battere

Borreliosi di Lyme

1983

HIV

Virus

Aids

1983

Helicobacter pylori

Battere

Gastrite (ulcera gastrica)

1989

Epatite C

Virus

Infiammazione epatica

1992

Vibrio cholerae O139

Battere

Nuovo ceppo responsabile di un’epidemia di colera

1993

Hantavirus

Virus

Sindrome da distress respiratorio

1994

Cryptosporidium

Protozoi

Infiammazione intestinale

1995

Ehrlichia

Battere

Artrite grave

1996

vMCJ

Prioni

“morbo della mucca pazza”, Variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob

1997

H5N1

Virus

Influenza “aviaria”

1999

Virus di Nipah

Virus

Encefalite grave

2003

Coronavirus

Virus

SARS

2009

H1N1

Virus

Influenza “suina”

Fonte: Messaggio concernente la revisione della legge federale sulla lotta contro le malattie trasmissibili dell’essere umano (Legge sulle epidemie, LEp, 2010); OMS

Nell’ultimo secolo la società umana è stata confrontata con virus e malattie che hanno avuto impatti su diversi fronti, paradossalmente sempre meno importanti in termini di numero di morti, ma sempre più rilevanti in termini di visibilità e di impatti socio-economici. Tra i numerosi casi di nuove influenze, l'influenza di Hong Kong, una pandemia dichiarata tra gli anni 1968-1969 è stata una di quelle più gravi. In base alle stime ufficiali del WHO, morirono tra 1 e 4 milioni di persone. Malgrado la gravità della pandemia, la copertura mediatica e le implicazioni tecnologiche furono radicalmente diverse. Woodstock, il concerto che riunì centinaia di migliaia di persone per diversi giorni nei dintorni di New York si tenne proprio nel periodo pandemico. Il contrasto con il panico creato dall’ultima pandemia è stridente e dimostra quanto sia cambiata l’attitudine negli ultimi 50 anni. Negli ultimi due anni si è inoltre parlato spesso della pandemia di Spagnola occorsa tra il 1918 e il 1920. Chiamata anche la grande influenza, causò la morte di 25-50 milioni di persone.

La grippe spagnuola. Ci pregiamo portare a vostra conoscenza alcune indicazioni recentemente pervenuteci a proposito della natura e del trattamento da seguire nella cura di questa epidemia: *Le voci più fantastiche continuano a circolare nel pubblico intorno all'attuale epidemia, per cui è necessario fornire alla popolazione informazioni per quanto possibile esatte. Non si tratta nè di peste nè di colera, nè di tifo addominale, ma bensì di influenza o grippe, che non è una malattia nuova e sconosciuta ai Medici. Nella maggior parte dei casi essa termina colla guarigione, benché si siano disgraziatamente registrati un certo numero di decessi, dovuti soprattutto a complicazioni polmonari (broncopolmonite).
Fonte: Gazzetta Ticinese, 1 agosto 1918



Il nuovo Coronavirus, dichiarato ufficialmente virus pandemico l’11 marzo 2020 dalla World Health Organization, non ha proposto fondamentalmente nulla di nuovo. Gran parte di quello che è cambiato rispetto al passato è il contesto e in particolare l’avvento di nuove possibilità proposte dalla tecnologia e dai media.

L’influenza dilaga PARIGI, 12 - L'epidemia di asiatica che ha colpito varie regioni di Francia continua ed à favorita dal tempo umido e freddo. Si calcola che dal 10 al 15 per cento della popolazione sia a letto per l’influenza, ciò che ha causalo numerose perturbazioni specialmente nei servizi pubblici e nelle amministrazioni. Anche in Germania infierisce l'influenza. II ministro bavarese dell’interno ha dichiarato che in parecchie aziende di Norimberga e di Monaco il 30 per cento circa del personale è ammalalo. Anche In Jugoslavia molti sono a letto per l’influenza. Secondo la agenzia Tanjug la metà della popolazione delle isole ha l'asiatica.
Fonte: Giornale del Popolo, 13 dicembre 1969, p. 23

L’epidemia di influenza (Cps) - L'epidemia di grippe provocata l'anno scorso dal virus A2-Hong Kong-68 continuerà probabilmente a propagarsi quest'inverno nell’emisfero nord, come si può dedurre dai casi già segnalati nel Sud Europa. L’epidemia è iniziata già il mese di marzo nell'Africa del Sud per poi estendersi i mesi successivi all'America del Sud e alla Australia. Ovunque, la malattia ha corso benigno.
In molti paesi, il nuovo virus si è esteso lentamente attraverso un effetto di combustione lenta al contrario di quanto capita solitamente con la grippe. Salvo negli Stati Uniti, la malattia provocata dal virus A2-Hong Kong-68 stata benigna e non ha causato un sensibile aumento dei decessi. Agli inizi, la diffusione del virus era alquanto simile a quella della grippe asiatica dei 1967, sia per la sua rapidità che per la sua diffusione geografica, ciò che fece temere vaste epidemie.
Secondo gli autori dello studio pubblicato dal Bollettino dell'Organizzazione Mondiale delia Salute vi sono tuttavia notevoli differenze tra te due epidemie. La prima si riferisce al comportamento della grippe di Hong Kong nel Giappone ove la malattia non è stata propagata l’anno scorso nonostante le importazioni di virus da parte dei turisti. La seconda differenza fra i due virus si è registrata negli Stati Uniti in quanto la grippe di Hong Kong ha provocalo non solo una forte epidemia ma anche un sensibile aumento della mortalità, fatto unico nella storia della grippe di Hong Kong finora. Quanto all’Europa, quasi tutti i paesi hanno segnalalo l'anno scorso epidemie di grippe di varia importanza. La più forte si è avuta in Polonia. Dappertutto, comunque, la grippe era benigna.
Esistono attualmente sufficienti vaccini in lutti i paesi per proteggere le persone che rischiano di soccombere o di reagire gravemente all'infezione, vale a dire le persone anziane e coloro che soffrono di malattie croniche. Tuttavia, la grande maggioranza della popolazione non sarà vaccinala. Il miglior mezzo per curare la grippe ed evitare complicazioni consiste nel rimanere a letto sin dai primi sintomi e di restarvi fin quando la febbre sia scesa. Questa precauzione permette pure di arginare la diffusione del virus.
Fonte: Giornale del Popolo, 15 dicembre 1969, p. 2


Immagine tratta dal Giornale del Popolo del 10 gennaio 1970

Grazie a una tecnologia sempre più interconnessa al nostro vissuto quotidiano, abbiamo accesso costantemente ai dati in tempo reale sui morti o i contagiati, riceviamo notifiche che richiamano la nostra attenzione sugli ultimi sviluppi. Sui social, onnipresenti, nascono e si sviluppano diatribe senza fine tra sostenitori e detrattori; di cosa non si sa bene. Particolare attenzione l'anno ricevuta i casi statisticamente meno frequenti, come giovani senza malattie pregresse ospedalizzati in cure intense. L'eccezione diventa norma: gli ospedali pieni finiscono in televisione, quelli vuoti vengono ignorati; le ricerche scientifiche prudenti vengono ostracizzate, quelle pessimiste finiscono in prima pagina. Good news is no news. Il 2021 segna tutto sommato un buon anno per l'aviazione (2’277 milioni di passeggeri, fonte statista.com), ma i titoli dei quotidiani hanno rilevato solo i casi che rientrano nella narrazione negativa (turisti bloccati negli aeroporti, isolati negli hotel o imprigionati sulle navi da crociera).


Titolo di apertura di uno dei principali quotidiani svizzeri, il Blick, dove si segnalano 700 persone bloccate alla partenza dall'aeroporto di Zurigo nel mese di giugno 2021. Una notizia poco rilevante alla luce dei 621'117 passeggeri partiti nello stesso periodo, un dato omesso nell'articolo (fonte www.flughafen-zuerich.ch)

 

Grazie alla banda larga e alle fibre ottiche possiamo chiudere gli uffici e lavorare da casa, come pure le scuole e studiare da casa. Ci possiamo testare costantemente alla ricerca di infetti grazie al Polymerase chain reaction (PCR) e a pochi mesi dall'arrivo del virus ci inoculiamo vaccini mRNA. Solo 20 anni fa tutto questo non sarebbe stato lontanamente possibile.

La geografia del vaccino è altrettanto interessante di quella del virus e palesa nuove dinamiche. Pochi media hanno rilevato un dato di base: in pochi mesi i ricercatori impegnati su questo fronte hanno realizzato un lavoro che solo fino a pochi anni fa avrebbe richiesto come minimo un decennio di ricerche. Ma non è solo questo sviluppo incrementale a suscitare interesse, ma anche la distribuzione sull’intero pianeta dei centri di ricerca in grado proporre un vaccino. Secondo il New York Times (Vaccine Tracker) sono in fase avanzata di test 52 vaccini, non solo negli USA ma anche in Cina, Europa, India e Russia. Un fatto indicativo su come l’avvento delle supply chain globali abbia ridisegnato e ridistribuito gli equilibri a livello mondiale.

A livello mediatico, lo sviluppo è stato altrettanto virale: questa urgenza ha schiacciato tutte le altre -presunte o tali- emergenze mediate sul pianeta. Grazie alla sua prossimità e al legame con il nostro quotidiano, il COVID è la tempesta perfetta, la notizia che avvicina il lettore e lo tiene incollato ai mezzi d'informazione. Uno sviluppo per certi versi morboso che non sembra conoscere limiti. Come già visto in passato, l'utilizzo dei numeri da parte dei media è stato fatto in modo da garantire forti impatti nell'utenza: ma un numero non contestualizzato non vuol dire molto. Se Hans Rosling, professore di International health al Karolinska Institute, fosse ancora vivo probabilmente ci ricorderebbe che ogni anno muoiono circa 57 mio di persone e che le principali cause di morte sono sempre quelle: arresto cardiaco e tumori (i virus sono ancora ben lontani dai vertici della classifica). Sono statistiche orribili, ma nel computo di una popolazione di 7.8 miliardi di persone chiaramente possono scioccare. Non sono le uniche d’altronde, basti pensare ad altre cause di morte (1.35 mio/anno sulle strade, 3 mio/anno per l’alcool, 7 per il tabagismo secondo le fonti OMS), o ancora alle persone che quotidianamente – in media – muoiono a livello mondiale: 26’000 a causa di tumore o 49’000 per problemi cardiaci (dati WHO riferiti a 2016 e 2018). La contestualizzazione del dato non vuole sminuire la drammaticità del momento, quanto piuttosto collocarla in modo equilibrato nel panorama delle politiche pubbliche.

This chapter has touched on terrifying events: natural disasters (0.1 percent of all deaths), plane crashes (0.001 percent), murders (0.7 percent), nuclear leaks (0 percent), and terrorism (0.05 percent). None of them kills more than 1 percent of the people who die each year, and still they get enormous media attention. We should of course work to reduce these death rates as well. Still, this helps to show just how much the fear instinct distorts our focus.
Rosling, Hans. Factfulness. Milano: Rizzoli, 2018.

Parallelamente si è assistito a uno sviluppo incontrollato di informazioni approssimative e di fake news. Tanto da spingere l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) a diffondere un'immagine in cui si ricorda che nella maggior parte dei casi dal COVID si guarisce (https://www.who.int/emergencies/diseases/novel-coronavirus-2019/advice-for-public/myth-busters). 

In questo periodo di cannibalismo mediatico e politico, varrebbe forse la pena interrogarsi serenamente sull'efficacia e l'efficienza delle misure anti covid introdotte in varie parti del mondo, in particolare in quei paesi in cui le politiche hanno adottato sistematicamente i worst case scenario. Dopo due anni di "lotta" per certi versi isterica, è forse tempo di analizzare aspetti positivi e critici delle diverse politiche, rilevando in particolare il ruolo centrale dell’OMS e le difficoltà oggettive nel coordinare le risposte tra i diversi paesi.

Visto il crescente rischio che nuove malattie provochino grossi danni a livello mondiale, i Paesi non possono più considerare l’esplosione di malattie come una faccenda esclusivamente interna. Alla luce di questi sviluppi, la concezione di prevenzione nazionale delle malattie e di lotta contro le stesse è ormai obsoleta. Esiste ora la necessità di intervenire collettivamente contro i rischi incombenti di malattie, intensificando la collaborazione e il coordinamento in questo ambito a livello internazionale.
Fonte: Messaggio concernente la revisione della legge federale sulla lotta contro le malattie trasmissibili dell’essere umano

In conclusione, gli scenari apocalittici, analogamente a quelli che ipotizzano complotti e ingerenze aliene, sono il frutto di manipolazioni più o meno fraudolente dei dati e dei metodi adottati per raccoglierli, trattarli e presentarli. Anche nel caso della pandemia di coronavirus si possono rilevare un numero significativo di criticità, dovute sicuramente alla gravità del virus, ma anche al panico mediatico che ha creato un contesto in cui l’azione politica ha dovuto agire con pressioni crescenti e polarizzanti. Come scrive Rosling “When we are afraid and under time pressure and thinking of worst-case scenarios, we tend to make really stupid decisions. Our ability to think analytically can be overwhelmed by an urge to make quick decisions and take immediate action. (…) There’s no room for facts when our minds are occupied by fear.

Roland Hochstrasser
geografo

 

Asiatica

Era dicembre, si cominciava a respirare quando ci annunciarono una seconda ondata di febbre asiatica. La malattia si era ridestata nel Giappone con maggior virulenza di quanto non fosse accaduto prima e ricominciava ad affluire in Europa.
Da Parigi si segnalava il pericolo incitando i cittadini della capitale francese a cercare il contagio poiché chi fosse stato colpito dalla prima forma, leggera, avrebbe potuto sottrarsi alle forme più pericolose in arrivo. La prima ondata, dicono i periti dell’Organizzazione mondiale per la salute, ha fatto il giro del mondo in 180 giorni: dal febbraio all’agosto 1957 tutti i paesi ne son stati toccati più o meno fortemente e durante l’inverno si sono avute “le code”.
La rapidità della diffusione ha preoccupato non poco le autorità sanitarie del mondo intero, poiché la facilità con la quale la malattia si propagava ne denunciava il carattere di infezione propagata da un virus. Anche se la forma era per lo più quella di una influenza benigna, la sua natura era tale da mettere in istato di allarme autorità e popolazioni. Il virus della grippe asiatica, appartenente al gruppo A, si distingue nettamente da quello che aveva provocato, epidemie di notevole importanza durante gli ultimi 25 anni. Questo virus presenta degli aspetti nuovissimi e perciò si spiega la diffusione della malattia tra le popolazioni che non ne sono mai state attaccate.
Da recenti studi è risultato che alcune persone di più di 60 anni d’età, in Olanda e negli Stati Uniti, presentavano contro il virus degli anticorpi non presenti invece in individui giovani. Ciò fa presupporre che esse siano state colpite e immunizzate già durante la pandemia del 1889 che aveva aspetti simili all’attuale.
Come è stato possibile seguire lo svolgersi della malattia attraverso a tutti i paesi? Il primo segnale d’allarme partì il 4 maggio 1957 da Singapore. Si segnalavano all’OMS numerosi casi di grippe, da qui il nome di “Grippe di Singapore” dato talvolta all’asiatica. Seguirono messaggi provenienti da tutte le parti del globo ove la grippe asiatica manifesta la sua presenza in maniera più o meno spettacolare. Partita dalla Cina nella primavera del 57 aveva invaso tutto l’entroterra cinese e nel marzo il virus venne isolato a Pechino e quivi studiato per la prima volta. In maggio, giugno, luglio si stende nelle Filippine e nel Giappone, poi sale verso il Golfo Persico, la Persia, lo Yemen, Aden, il Sudan, l’Egitto, la Siria e la Giordania.
Intanto qualche focolare causato da casi di importazione diretta scoppiano negli Stati Uniti e nell’America latina, in Europa e in Australia. Europa e Stati Uniti son stati risparmiati in quanto la grippe non costituisce, per questi territori, una malattia estiva. 11 virus ha avuto il tempo di perdere la sua virulenza prima di assalirci agli inizi dell’inverno. Nei paesi tropicali invece l’epidemia ha assunto aspetti allarmanti ciò che costituisce un enigma in più, in quanto la grippe non è affezione comune, come da noi, durante talune stagioni.
L’epidemia di grippe asiatica si diffonde di preferenza entro le comunità di intensa popolazione. Nel Giappone e nei Paesi Bassi sono stati particolarmente colpiti i campi militari e le scuole. Il 60 per cento delle persone ne sono colpite. Lo stesso dicasi a bordo delle navi e di conseguenza nei porti da queste toccate.
Gli studi dell’organizzazione mondiale della salute sono stati diretti, scoperto il virus, alla creazione di un vaccino che ne potesse vincere il potere. Non si può naturalmente chieder a tali vaccinazioni di stroncare l’epidemia, ma di limitarne i danni questo si. Perciò si propone la vaccinazione di gruppi di persone indispensabili alla vita del paese e la cui assenza prolungata potrebbe provocare la disorganizzazione dei servizi pubblici e paralizzare le attività essenziali della società e dell’economia. Si immunizzano dapprima i medici ed il personale infermiere, quindi il personale dei servizi pubblici e quello delle industrie e delle imprese commerciali di base. Non era quindi una storiella da scherzarci, quella dell’asiatica, e se qualcuno se la ritrovasse in casa la curi bene per non aver sorprese!

Fonte: Illustrazione ticinese, 25 gennaio 1958, p. 9

Perché è difficile prevedere quanto sarà grave una pandemia prima ancora che sia finita

Queste righe sono state scritte negli ultimi giorni del marzo 2020, proprio quando la pandemia di Covid-19 era in una fase di crescita esponenziale in Europa e in Nordamerica.
Piuttosto che offrire l’ennesima valutazione o previsione (e rendere immediatamente obsoleto questo capitolo), ho deciso di spiegare le ragioni delle incertezze che incontriamo quando tentiamo di giudicare o interpretare i dati statistici in simili situazioni di tensione.
Le paure frutto di una pandemia virale sono dovute ai tassi relativamente alti di mortalità, ma questi sono impossibili da determinare quando il contagio è ancora in corso - ed è difficile farlo anche una volta che la pandemia si è conclusa. L’approccio epidemiologico più comune consiste nel calcolare il tasso di letalità: il numero di morti confermate associate al virus diviso per il numero di casi di contagio. Ciò che rappresenta il numeratore (la causa del decesso indicata sui certificati di morte) è ovvio, e nella maggior parte dei Paesi i dati al riguardo sono abbastanza affidabili. Ma la scelta del denominatore introduce diverse fonti di incertezza. Quali ‘casi’? Solamente le infezioni confermate in laboratorio, tutti i casi sintomatici (incluse le persone che non sono state testate ma hanno manifestato sintomi), o il numero totale dei contagi inclusi i casi asintomatici? Il numero di casi testati è conosciuto con estrema precisione, ma il numero complessivo dei contagi deve essere stimato basandosi sugli studi sierologici (la rilevazione degli anticorpi presenti nel sangue) eseguiti sulla popolazione una volta che la pandemia è finita, utilizzando diverse equazioni matematiche al fine di realizzare modelli che ricostruiscano la storia del contagio, o prendendo come assunto il valore multiplo più probabile (x persone infette per-y morti effettive).
Studi dettagliati sui casi di morte dovuti alla pandemia influenzale del 2009 - che ha avuto inizio negli Usa nel gennaio di quell’anno, con focolai che in alcuni luoghi non si sono spenti prima dell’agosto 2010, e che era causata da un nuovo virus H1N1 contenente una combinazione unica di geni influenzali - mostrano quanto possa essere ampia l’incertezza in queste situazioni. Il numeratore era sempre composto dai casi di morte confermati, ma per costruire il denominatore c’erano tre differenti metodi di definizione dei casi: le infezioni confermate in laboratorio, una stima dei casi sintomatici e una stima del numero totale di contagi (basata su test sierologici o sul presunto grado di diffusione di casi asintomatici). Le differenze che ne risultavano erano molto grandi, si andava da meno di uno a oltre 10 000 morti per 100 000 persone.
Com’era prevedibile, l’approccio che faceva riferimento ai casi confermati in laboratorio calcolava un rischio più alto (nella maggior parte dei casi tra le 100 e le 5 000 morti), quello basato sui casi sintomatici indicava dalle 5 alle 50 morti, mentre il rischio che risultava dalla stima dei contagi totali andava da 1 a 10 morti per 100 000 persone: il primo approccio restituiva un tasso di letalità 500 volte più elevato di quello derivato dall’ultimo.
Nel 2020, con il diffondersi del Covid-19 (malattia provocata dal Sars-CoV-2, un tipo di coronavirus), ci troviamo di fronte alle stesse incertezze. Per esempio, il 30 marzo 2020 le statistiche ufficiali cinesi registravano a Wuhan, l’epicentro della pandemia, dove il peggio sembrava essere ormai passato, 50 006 casi e 2 547 morti dall’inizio dell’epidemia. Non era disponibile alcuno studio indipendente che potesse confermare questi presunti valori complessivi: il 17 aprile la Cina ha aumentato il numero delle morti del 30 per cento, fino a 3 869, ma soltanto di 323 il totale dei contagi.
Secondo le prime cifre, il tasso di letalità era del 3 per cento; basandoci sulle seconde è del 7,7 - e molto probabilmente non conosceremo mai i numeri veri. In ogni caso, i denominatori in questione comprendono soltanto i casi testati (o quelli testati e sintomatici): Wuhan è una città di 11,1 milioni di abitanti e 50 000 casi vorrebbero dire che meno dello 0,5 per cento della popolazione è stata contagiata, una quota incredibilmente bassa se confrontata con il numero di persone che contraggono l’influenza stagionale. Non conoscendo il numero totale dei contagi, possiamo farci un’idea migliore affidandoci all’approccio demografico alla mortalità, espresso dal numero di morti per cause specifiche ogni mille persone, e utilizzare come metro di paragone il numero delle vittime dell’influenza annuale.
Presupponendo che il peggio dell’epidemia di Covid-19 del 2020 di Wuhan sia passato (e che i valori totali ufficiali riflettano la realtà), la morte di circa 3900 persone significherebbe una mortalità specifica dovuta alla pandemia di 0,35/1000. Il Center for Disease Control and Prevention (Cdc) stima che negli Usa l’influenza stagionale del periodo 2019-2020 avrà infettato tra i 38 e i 54 milioni di abitanti (su una popolazione di circa 330 milioni), e che avrà causato un numero di morti pari almeno a 23 000, ma che potrebbe arrivare anche a 59 000. Prendendo i valori medi di questi campi di variazione - 46 milioni di contagi e 41 000 morti - risulta che circa il 14 per cento di tutti i nordamericani saranno stati contagiati, e che circa lo 0,09 per cento di tutti i contagiati sarà deceduto (tasso di letalità); il tasso di mortalità generale specifico all’influenza sarebbe quindi di 0,12/1000 (ovvero, circa una persona su 10 000 morirà), a fronte dello 0,35/1000 registrato a Wuhan a metà aprile 2020. Così il tasso dell’epidemia di Covid-19 di Wuhan sarebbe tre volte quello dell’influenza stagionale del 2019-2020 negli Usa, il che rappresenta sicuramente un motivo di preoccupazione, ma non una buona ragione per farsi prendere dal panico.
Come con ogni pandemia, dovremo aspettare fino a quando il Covid-19 non avrà fatto il suo corso, per avere un quadro chiaro di quanto questa sia stata grave. Solo allora saremo in grado di contare il numero effettivo di casi - o, siccome non potremo mai sapere il totale dei contagi a livello nazionale e mondiale, semplicemente di offrire le nostre stime migliori - e confrontare i tassi di letalità che ne risulteranno, le differenze tra i quali potrebbero non essere più piccole di quelle riscontrate durante la pandemia del 2009.
Questa è una delle più basilari lezioni di algebra: puoi conoscere con esattezza il numeratore, ma a meno che tu non conosca anche il denominatore con un simile grado di certezza, non potrai calcolare con precisione il tasso che ne deriva. Alcune incertezze ci saranno sempre, ma quando leggerete queste pagine, avremo una comprensione molto maggiore della portata e dell’intensità reali dell’ultima pandemia, rispetto a quando sono state scritte. Conto sul fatto che mi starete ancora leggendo.

Fonte: Smil, Vaclav. I numeri non mentono: brevi storie per capire il mondo. Torino: Einaudi, 2021.
 

Il Nemico era il malvagio virus

Il Nemico era il malvagio virus. La guerra era contro di lui -- o esso, it, illud. Ma una guerra era fatta di campagne, aperture di fronti, battaglie. E il virus aveva alleati. Si avvaleva di complici, di sgherri, quantomeno di utili idioti. Di untori, insomma, e da che mondo era mondo, ogni guerra contro un morbo era fatta di battaglie contro gli untori.
La prima grande campagna era stata contro il jogging. Anzi, la «corsetta», come spregiativamente la chiamavano gli sceriffi e ‘uomini forti’ del momento: ministri, governatori, sindaci. A molti di costoro un po’ di moto avrebbe fatto bene. Panzuti o flaccidi, giallastri e varicosi, berciavano contro chi non ci teneva a ridursi come loro.
La mattina del 15 marzo, sul lungomare di Mondello, provincia di Palermo, una squadra di poliziotti aveva bloccato e malmenato un cittadino che, da solo, faceva jogging vicino a casa. Attività che in quel momento nessun decreto vietava. Un video, girato da un balcone, mostrava il runner accerchiato e spinto a terra. ‘Te ne devi tornare a casa!’, gli dicevano gli agenti.
La mattina del 21 marzo, a Napoli, una pattuglia dei carabinieri aveva bloccato un quarantenne che correva intorno al proprio condominio e applicato l’ordinanza regionale che, a differenza del decreto nazionale, vietava ogni attività motoria anche in prossimità dell’abitazione. Per il podista era scattata la quarantena di due settimane - o meglio: la misura punitiva impropriamente detta ‘quarantena’, altro termine che aveva visto evaporare il proprio significato. Ma il malcapitato era medico e cardiologo e lavorava come rianimatore all’Ospedale dei Pellegrini, in prima linea nel curare i malati di Covid. Ai carabinieri lo aveva fatto notare, ma invano. Ora, grazie alla stolidità di amministratori e forze dell’ordine, all’ospedale c’era un buco.
In quell’occasione persino Repubblica - giornale che ogni giorno attaccava i presunti trasgressori e nemici del popolo chiamandoli ‘furbetti’ - aveva scritto: ‘Qui c’è un professionista che di mestiere salva vite che, per tenersi in equilibrio, fa ciò che il governo nazionale gli consente: venti minuti di corsa intorno a casa’.
La mattina del 9 aprile i carabinieri avevano sorpreso un giovane a fare jogging su una spiaggia deserta di Pescara. Un video aveva immortalato il momento: si vedeva il podista accelerare l’andatura, poi un milite in evidente debito d’ossigeno cercare di stargli dietro, arrancare, infine mordere la polvere, o meglio la sabbia. Sembrava un remake dell’inseguimento in Rosolino Paterno, soldato-. «Ma che è, un cavallo?... Te possin’ ammazzatte...». Perché nessuno mi dice a cosa serve la milza?0 A fermare l’untore era stata un’altra pattuglia, che gli aveva fatto una sanzione di tremila euro (!).
In quei giorni si era visto di tutto. Caccie all’uomo in diretta tv nazionale, con le forze dell’ordine a braccare un singolo passante e il pubblico in studio a fare il tifo (per le forze dell’ordine), e poi elicotteri e droni sulle spiagge, nei parchi, nei boschi, sui crinali di montagne e in altri luoghi deserti.
‘Così staniamo chi esce di casa’. Con i carabinieri nei cieli di Roma. Droni contro i furbetti e via agli arresti immediati per chi viola la quarantena. Droni con telecamere termiche in supporto alle forze dell’ordine per cercare chi va per boschi, anche di notte. Decollano i droni contro i “furbetti” dei parchi. Milano, i controlli di Pasquetta con droni e cani molecolari per scovare i furbetti dell’ordinanza Covid. Per i furbetti della Pasquetta, droni e varchi cattura-targhe. Droni in volo per scovare i “furbetti”, sanzionati un uomo e due donne in costume da bagno al parco. Coronavirus, Auronzo avvisa i furbetti: ora decolla il drone dei vigili. Coronavirus Ferrara, droni ed elicotteri per sorvegliare la costa. Coronavirus, controlli anche con l’elicottero: allontanati bagnanti mentre prendono il sole. Covid-19, droni, elicotteri e motovedette: in Sicilia è caccia ai “furbetti” della scampagnata.
La domenica di Pasqua un elicottero della Guardia di finanza si era abbassato su un cittadino che passeggiava da solo su una spiaggia del savonese, e dopo averlo apostrofato con l’altoparlante l’aveva cacciato via. Anche quel video aveva fatto il giro della rete. Analoghe scene si erano viste in altre parti d’Italia.

Una sola ora di volo di un elicottero delle forze dell’ordine costava ai contribuenti, a seconda delle fonti che si trovavano on line, dai millequattrocento ai seimila euro. Moltiplicando quei numeri per centinaia di elicotteri impegnati per settimane in pattugliamenti di nessuna utilità, si ottenevano le proporzioni di uno dei più grandi scialacqui di denaro pubblico avvenuti durante la «prima ondata».
Qual era, dal punto di vista epidemiologico, il senso di quelle esibizioni muscolari, di quelle pagliacciate da Rambo? Perché impedire corse, passeggiate solitarie e addirittura il semplice atto di stare seduti al sole?
Lo aveva spiegato, con voce dal sen fuggita, il sottosegretario alla presidenza della regione Emilia-Romagna, Davide Baruffi, il 22 aprile 2020:
Abbiamo detto no all’attività motoria in generale non perché rappresenti il primo fattore di contagio ma perché volevamo dare il senso che il regime di restrizioni [...] doveva essere molto severo e stringente.
Ecco. Quei divieti e quelle sanzioni erano prima di tutto teatro, rappresentazioni funzionali a una strategia di disciplinamento. Proibire corse e passeggiate non aveva motivazioni razionali legate al contagio ma finalità di controllo sociale, sganciate dalla reale pericolosità dell’attività presa di mira.

«E vero», ribatteva qualcuno, «ma è l’unico modo, il guinzaglio va tenuto corto, altrimenti facciamo subito branco, noi senza divieti non ce la possiamo fare, gli italiani lasciati a sé stessi sbracano», eccetera.
Quel discorso culturalista e fatalista, tipico esempio di antropologia negativa, era sempre stato reazionario. Serviva a giustificare il modo infantilizzante con cui le istituzioni trattavano cittadine e cittadini, e a giustificare ogni arbitrio, dalle angherie burocratiche che subivamo ogni giorno fino alle cicliche manovre per insediare l’Uomo Forte di turno: «con gli italiani ci vuole il bastone».
Per segnalarci che eravamo minus hahentes, fanciullini mentecatti che senza un padre severo sarebbero stati perduti, governo e sceriffi si erano inventati di tutto: divieto di uscire insieme anche in caso di persone conviventi; gente multata perché era scesa a gettare la spazzatura ed era rimasta in strada «troppo a lungo»; parchi chiusi con la catena e giochi dei bambini cinti di nastro bianco e rosso (una delle visioni più tristi e squallide di quei mesi); pensionati multati perché si erano seduti su una panchina un metro dentro una zona vietata; sanzioni a chi, vivendo in una borgata dove non c’era nemmeno un negozietto di alimentari, aveva osato fare la spesa nel comune limitrofo, eccetera. Quest’ultimo divieto, quello di superare il confine comunale, era particolarmente idiota – dal greco, cioè autoreferenziale, noncurante delle esigenze altrui - anche perché indiscriminato-, trattava allo stesso modo chi viveva a Roma e chi a Bivio Correggi o Alberlungo. Ma aporie e insensatezze erano ovunque. I supermercati erano aperti ma i loro reparti cancelleria erano chiusi, addirittura transennati, col risultato che non potevi comprare un quaderno e una scatola di pennarelli per la tua bimba rinchiusa in casa da giorni, da settimane.

Fonte: Wu Ming 1. 2021. La Q di Qomplotto: QAnon e dintorni : come le fantasie di complotto difendono il sistema. Roma: Alegre.